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In questo articolo vedremo se è possibile condannare per traffico di stupefacenti una persona sulla base delle sole intercettazioni di conversazioni telefoniche.
Quindi, senza
che vi sia stato nessun sequestro di droga o altro riscontro, come
ad esempio l'accertamento di trasferimenti in
denaro.
Questo
è il fenomeno della c.d. droga parlata e vedremo quando si deve
essere assolti in questi casi.
Per
capire bene partiamo da un caso realmente accaduto che è stato
giudicato recentemente dalla Corte di Cassazione, che come è noto è
il terzo e ultimo grado di giudizio in Italia e si trova a
Roma.
Ebbene,
una persona veniva accusata del reato di importazione di sostanze
stupefacenti E nella specie Di circa 2 chili di
cocaina.
La
Corte di appello di Milano condannava questa persona alla pena di
sei anni di reclusione in carcere e € 30.000 di multa.
Tale
condanna si basava esclusivamente sui risultati delle
intercettazioni telefoniche senza che fosse stato operato alcun
sequestro della sostanza stupefacente.
Quindi
in assenza della prova che si trattasse effettivamente di droga, di
quale tipo e di quale consistenza quantitativa e
qualitativa.
In
particolare la condanna si fondava su 2 intercettazioni di
conversazioni telefoniche
Nella
prima l’interlocutore diceva “Te ne arriveranno 2 e mezzo , capito
?”
Nell'altra
La persona condannata Litigava con l'interlocutore Sostenendo di
essere stato “truffato”.
La
Suprema Corte di Cassazione, ha accolto la tesi dell'avvocato
difensore Secondo cui da tali conversazioni emerge l'assoluta
incertezza sulla tipologia, sulla quantità e qualità della sostanza
stupefacente.
Di
conseguenza ha annullato la condanna e inviato gli atti alla Corte
di appello per un nuovo giudizio sul punto.
Pertanto
queste sono le linee guida valide in casi analoghi a
questo.
A
mio avviso, non è possibile condannare una persona quando il
significato delle conversazioni intercettate:
1)
non sia chiaro
2)
non sia decifrabile
3)
appaia ambiguo
Insomma
il significato delle conversazioni non deve lasciare margini di
dubbio.
Una
regola che deve essere rispettata in ogni processo penale è che la
colpevolezza della persona accusata deve essere dimostrata
dall’accusa al di là di ogni ragionevole dubbio.
Pertanto
se sussiste una ricostruzione alternativa del fatto che è logica e
credibile la persona deve essere assolta.
Un
ultimo esempio per capire ancora meglio.
Immaginiamo
il caso realmente accaduto che le intercettazioni di conversazioni
telefoniche abbiano ad oggetto una importazione internazionale di
stupefacenti tramite dei camion che trasportano verdura.
Tuttavia
nelle conversazioni telefoniche si fa riferimento proprio a
verdure.
E’
chiaro che in questo caso sarà molto difficile provare
l’importazione di stupefacenti sulla base delle sole conversazioni
telefoniche in assenza di altri riscontri.
Lo studio si occupa di fornire assistenza in
caso di
segnalazioni al Prefetto per uso di sostanze stupefacenti e in caso
di reati di spaccio
di stupefacenti.
Lo Studio svolge le seguenti attività:
1) Assistenza legale in tema di segnalazione per uso personale di sostanze stupefacenti.
2) Assistenza nel corso delle indagini penali
3) Svolgimento di indagini difensive
4) Ausilio di consulenti tossicologici per l’analisi del capello che consentano di verificare l’eventuale stato di tossicodipendenza della persona accusata. Tale esame consente di valutarese la persona sia assuntore di droga abituale
5) Valutazione della possibilità di scelta di riti alternativi
6) Assistenza nel corso della fase esecutiva e carceraria
In materia di stupefacenti la legge italiana punisce la detenzione ad uso non esclusivamente personale.
Viceversa se la detenzione di droga è ad uso personale si potrà essere sottoposti unicamente a delle sanzioni amministrative.
E’ compito del giudice verificare se le circostanze del caso concreto siano sintomo di attività di spaccio ovvero di un uso esclusivamente personale penalmente rilevante.
E’ possibile che anche quantitativi di sostanza stupefacente al di sotto del massimo detenibile previsto dalle tabelle ministeriali possano integrare il reato penale ove le altre modalità dell’azione facciano propendere per un uso non esclusivamente personale (esempio cessione e ritrovamento di un’unica dose di stupefacente in flagranza di reato all’atto della cessione a terzi) o che viceversa quantitativi superiori al massimo detenibile non abbiano rilevanza penale perché le altre circostanze di fatto escludono un’attività di spaccio.
Cassazione
penale sez. VI , , 14/02/2017, n. 27434
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
SESTA PENALE
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
ROTUNDO Vincenzo - Presidente -
Dott.
FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere -
Dott.
RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott.
CALVANESE Ersilia - Consigliere -
Dott.
SCALIA Laura - Consigliere -
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul
ricorso proposto da:
A.R.,
nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);
avverso
la sentenza del 05/07/2016 emessa dalla Corte d'appello di
Milano;
visti
gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita
la relazione del Consigliere Dott. FIDELBO Giorgio;
udito
il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore
Generale
Dott. LOY Maria Francesca, che ha concluso chiedendo
l'inammissibilità
del ricorso;
udito
l'avvocato ******, sostituto processuale dell'avvocato
******,
che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO
IN FATTO
1.
Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Milano,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 20
novembre 2015, ha confermato la responsabilità di A.R. per
l'importazione, avvenuta nel (OMISSIS) in concorso con altri, di
oltre due chili di cocaina dalla (OMISSIS) (art. 110 c.p. e D.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73, commi 1-bis e 6), riducendo la pena a sei
anni di reclusione ed Euro 30.000 di multa per effetto del
riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla
contestata aggravante.
2.
L'avvocato ******, nell'interesse dell'imputato, ha presentato
ricorso per cassazione, deducendo con un unico motivo la violazione
dell'art. 192 c.p.p., comma 2, e art. 530 c.p.p., comma 2, nonchè
il connesso vizio di motivazione.
Si
assume che la sentenza di condanna si è basata esclusivamente sui
risultati di alcune intercettazioni telefoniche che non appaiono in
grado di giustificare l'affermata responsabilità. In particolare,
si richiamano due intercettazioni: quella del 17 novembre 2006, in
cui uno dei coimputati ( S.B.P.M., detto (OMISSIS)) dice ad A. "te
ne arriveranno 2 e mezzo capito?"; l'altra del 4 ottobre 2006, nel
corso della quale A. litiga con tale W., sostenendo di essere stato
truffato. Secondo la difesa dalle conversazioni suindicate
emergerebbe non solo l'assoluta incertezza sulla tipologia,
quantità e qualità della sostanza che sarebbe stata importata, ma
soprattutto la dimostrazione della mancanza di efficacia drogante
del composto, desumibile dall'oggetto del litigio tra l'imputato e
il W..
In
sostanza, si assume che la mancanza di ogni accertamento sulla
droga in questione non avrebbe dovuto giustificare una sentenza di
condanna, che risulta emessa in assenza di prove certe da cui
ricavare gli elementi relativi al tipo, alla qualità e alla
quantità di sostanza, con la conseguente violazione del principio
secondo cui l'affermazione di responsabilità penale deve poter
superare ogni ragionevole dubbio. Nella specie, la Corte d'appello
ha ritenuto sufficienti gli elementi desunti dalle sole
intercettazioni che, invece, presentano forti margini di incertezza
in assenza di ogni accertamento sulla sostanza stupefacente,
situazione che avrebbe imposto l'assoluzione dell'imputato ovvero
una riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al D.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1.
Il ricorso è fondato.
1.2.
La sentenza di appello, confermando quella di primo grado, ha
ritenuto la responsabilità dell'imputato esclusivamente in base ai
risultati delle intercettazioni, non essendo stato operato alcun
sequestro della droga oggetto delle conversazioni intercorse tra A.
e i suoi fornitori.
Il
Tribunale ha inquadrato la vicenda nell'ambito dell'attività svolta
da organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti tra la
(OMISSIS) e l'Italia; di queste organizzazioni farebbe parte anche
l'attuale ricorrente il quale avrebbe convenuto l'acquisto di un
quantitativo di stupefacente da soggetti sudamericani, residenti in
(OMISSIS); sempre in base a "flussi dialogici" captati, si sarebbe
trattato di oltre due chili di cocaina.
Con
riferimento alle deduzioni difensive, che contestavano la mancanza
della prova dell'efficacia drogante dello stupefacente,
sottolineando la circostanza che non era stato possibile sottoporre
la sostanza ad analisi non essendo stato operato alcun sequestro,
la Corte territoriale le ha ritenute infondate, con una
motivazione, oggetto di censura nel ricorso, che appare
manifestamente illogica e basata su una erronea applicazione della
legge.
Innanzitutto,
risulta del tutto insufficiente la motivazione là dove desume la
"buona qualità" della droga dal contesto generale in cui
ricomprende l'episodio in contestazione. In particolare, i giudici
d'appello assumono che la sostanza avesse efficacia drogante in
quanto precedenti sequestri di stupefacente effettuati nell'ambito
di indagini riguardanti traffici tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS),
cioè i Paesi di riferimento dei fornitori dell' A., avevano
rivelato che la sostanza drogante fosse di "buona qualità";
inoltre, giustificano tale affermazione rilevando che i fornitori
non avrebbero corso il rischio di compromettere la loro
"reputazione commerciale" offrendo sostanza priva di capacità
drogante; infine, osservano che lo stesso A. si è lamentato della
scarsa qualità della droga, senza tuttavia mai accennare ad una
truffa per una fornitura di sostanza "innocua", diversa dalla
droga; concludono, rilevando che è difficile ipotizzare che un
quantitativo di oltre due chili lordi di cocaina fosse privo di
eccipiente puro e di minima efficacia, tale da rendere inoffensiva
la condotta.
1.2.
Si tratta di affermazioni che hanno un carattere prevalentemente
congetturale e che, inoltre, si basano su una ricostruzione del
significato delle conversazioni intercettate non
univoco.
Come
correttamente osservato nel ricorso, si tratta di un giudizio di
colpevolezza che ha utilizzato i risultati intercettativi aventi,
in questo caso, una valenza puramente indiziaria, in assenza di
elementi di prova oggettivi, dal momento che non vi è stato il
sequestro dello stupefacente, sicchè i giudici avrebbero dovuto
operare una valutazione attenta su tali elementi indiziari,
soprattutto alla luce delle deduzioni difensive proposte con
l'appello.
Come
è noto l'art. 192 c.p.p., comma 2, consente la possibilità di
desumere un fatto da indizi alla condizione che questi siano gravi,
precisi e concordanti: questa disposizione, finalizzata a
"circondare di cautele la valutazione di una prova ritenuta
infida", oggi deve essere necessariamente letta unitamente al
principio contenuto nell'art. 533 c.p.p., comma 1, secondo cui la
colpevolezza dell'imputato deve risultare "al di là di ogni
ragionevole dubbio". Ciò comporta che, soprattutto in presenza di
prove indiziarie, il giudice di merito, al quale vengano
prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, non può adottarne
una, che conduce alla condanna, solo perchè la ritiene più
probabile delle altre, in quanto la regola di giudizio compendiata
nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", impone di
pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito
lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente
formulabili e prospettabili come possibili "in natura", ma la cui
effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva
del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi
al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale
razionalità umana (Sez. 1, n. 1792 del 03/03/2010, Giampà; Sez. 1,
n. 23813 del 08/05/009, Manickam). In altri termini, il
procedimento logico deve condurre alla conclusione caratterizzata
da un alto grado di credibilità razionale, quindi alla "certezza
processuale".
1.3.
Questo grado di credibilità razione non appare raggiunto nel
procedimento in esame, in quanto la Corte d'appello, da un lato, ha
fatto ricorso a vere e proprie congetture, dall'altro, non ha
attentamente valutato i riscontri probatori offerti dalle stesse
conversazioni intercettate. Sotto il primo profilo ha respinto le
deduzioni difensive, dirette ad evidenziare la mancanza di ogni
concreta possibilità di ritenere la capacità drogante dello
stupefacente in assenza delle analisi chimiche sulla sostanza, in
base ad argomentazioni apodittiche, relative alla buona qualità
della droga, desunta da precedenti sequestri e dalla "serietà
commerciale" dei fornitori; sotto un diverso profilo ha trascurato
del tutto il contenuto di una delle conversazioni intercettate tra
l'imputato e un suo fornitore - riportata nella sentenza di primo
grado -, in cui A., lamentandosi della scarsa qualità della droga,
accusa il suo interlocutore di averlo truffato. Questo riferimento
specifico alla "truffa" è stato trascurato dai giudici di appello,
che hanno escluso, senza una adeguata motivazione, l'ipotesi
prospettata dalla difesa, secondo cui lo stupefacente sarebbe stato
privo di efficacia drogante, ipotesi che avrebbe trovato un
riscontro proprio nella conversazione indicata.
E'
vero che questa Corte di cassazione ha riconosciuto che il giudice
di merito, anche in assenza delle analisi chimiche, può desumere la
presenza del principio attivo di una sostanza drogante da diverse
fonti di prova acquisite agli atti, ma deve comunque trattarsi di
elementi significativi, in grado di sostituire i risultati di una
perizia e nel caso di indizi - come nella specie devono avere le
caratteristiche cui si riferisce l'art. 192 c.p.p., comma
2.
1.4.
Tali valutazioni devono avere un rigore particolare nei casi,
purtroppo sempre più frequenti, in cui i processi in materia di
stupefacenti si basano esclusivamente sui risultati delle
intercettazioni (c.d. "droga parlata"), senza che sia operato il
sequestro della sostanza, quindi in assenza della prova che si
tratti effettivamente di "droga", di quale tipo e di quale
consistenza quantitativa e qualitativa.
Del
resto, se il giudice non ha alcun dovere di procedere a perizia o
ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del
principio attivo di una sostanza drogante, dall'altro lato grava
sul pubblico ministero il rischio di una mancata prova in ordine
agli elementi a carico dell'imputato, con la conseguenza che appare
corretto, in tali ipotesi, riconoscere la sussistenza del reato di
cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, considerando che
il mancato accertamento della percentuale di principio attivo, per
la regola del favor rei, deve risolversi a favore dell'imputato
(cfr., Sez. 6, n. 47523 del 29/10/2013, El Maddahi).
2.
In conclusione, i rilevati vizi della motivazione giustificano
l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra
sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo giudizio, anche
al fine di verificare la possibilità di una riqualificazione del
fatto nell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma
5, per le ragioni sopra esposte.
P.Q.M.
Annulla
la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte d'appello di Milano.
Così
deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.
Depositato
in Cancelleria il 1 giugno 2017
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