padre e madre che litigano - Maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia: come difenderti!

Art. 572 del codice penale

I maltrattamenti in famiglia sono un fenomeno diffuso in tutto il mondo e possono assumere diverse forme, come ad esempio violenza fisica, psicologica o economica.

Possono essere perpetrati da un partner, da un genitore o da altri familiari nei confronti di un altro membro, indipendentemente dall’età, dal sesso o dallo stato di vulnerabilità della vittima.

I maltrattamenti in famiglia sono spesso posti in essere in modo sistematico e duraturo nel tempo e possono avere conseguenze profonde e durature sulla vittima.

Si pensi, ad esempio danni fisici e psicologici, difficoltà relazionali e problemi di salute mentale.

È importante sottolineare che i maltrattamenti in famiglia non sono solo un problema personale, ma riguardano anche la società nel suo complesso, poiché possono avere ripercussioni sulla stabilità delle relazioni all’interno della famiglia.

Esistono diversi tipi di interventi e supporti disponibili per aiutare le vittime di maltrattamenti in famiglia, come ad esempio il sostegno psicologico, i servizi di assistenza legale forniti da Avvocati esperti della materia che possono consentire di ottenere l’allontanamento dall’ambiente familiare e il divieto di avvicinamento.

Maltrattamenti in famiglia - Contenuti più importanti

L'assistenza legale in caso di maltrattamenti in famiglia

L’assistenza legale in caso di maltrattamenti in famiglia è un aspetto fondamentale per garantire la protezione e il sostegno delle vittime e per assicurare che i responsabili dei maltrattamenti vengano perseguiti secondo la legge.

In favore delle vittime di maltrattamenti in famiglia, l’assistenza legale può includere la consulenza per comprendere i propri diritti e le opzioni legali disponibili, l’assistenza nella presentazione di denunce e nella richiesta di ordinanze restrittive o di altre misure protettive, il sostegno durante il processo giudiziario e l’assistenza nell’ottenimento di un risarcimento per i danni subiti.

Per la persona accusata di maltrattamenti in famiglia, l’assistenza legale può includere la consulenza per comprendere le accuse e le conseguenze legali, la rappresentanza durante il processo giudiziario e la difesa contro le accuse con la verifica di ogni elemento.

È importante che anche la persona accusata abbia accesso a un’assistenza legale adeguata e che il processo giudiziario sia equo e basato sulle prove.

Avvocati penalisti per maltrattamenti in famiglia

In caso di maltrattamenti in famiglia è necessario affidarsi ad Avvocati penalisti aggiornati in materia.

I professionisti dello Studio da anni si occupano di fornire consulenza e assistenza in giudizio sia alle vittime di maltrattamenti che a tutti coloro che siano ingiustamente accusati di tale reato.

I servizi legali messi a disposizione sono, a titolo esemplificativo, i seguenti:

  • consulenza e assistenza tecnica in sede di indagini preliminari;
  • redazione della denuncia-querela;
  • investigazioni difensive;
  • assistenza per tutta la durata del processo;
  • redazione di richieste di allontanamento dalla casa familiare e difesa;
  • richieste di divieto di avvicinamento;
  • redazione di atti di Appello e di ricorsi per Cassazione.

 

Quali sono le sanzioni aggiornate al 2023 in caso di maltrattamenti in famiglia?

Pene previste per il reato di maltrattamenti in famiglia:

Il reato di maltrattamenti è attualmente punito con la pena della reclusione in carcere da 3 a 7 anni, ma il codice prevede delle ipotesi di aggravamento della pena se:

  • il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona affetta da disabilità (pena aumentata fino alla metà);
  • deriva una lesione personale grave (reclusione da 4 a 9 anni);
  • dal fatto deriva una lesione gravissima (reclusione da 7 a 15 anni);
  • deriva la morte (reclusione da 12 a 24 anni).

Clicca QUI per leggere l’art. 572 del codice penale  per ESTESO sui maltrattamenti contro familiari e conviventi

Proliferazione delle accuse di maltrattamenti in famiglia

Ormai da un decennio a questa parte si è assistito ad una pericolosa proliferazione delle contestazioni di maltrattamenti mosse dalle Procure di tutta Italia.

Ad oggi, sono più di 20.000 le denunce presentate ogni anno, soprattutto a seguito del periodo Covid, che ha costretto in casa tante famiglie per lunghi periodi di tempo.

Ciò ha aggravato la crisi economica, inasprendo quelli che spesso erano rapporti di coppia già di per sé conflittuali.

Il Codice Rosso del 2019, di cui tutti noi abbiamo certamente sentito parlare, è intervenuto in maniera molto imponente a tutela delle vittime di reati di violenza domestica o di genere.

Da un lato, ciò permette di tutelare in maniera preventiva le donne che subiscono soprusi in casa.

Dall’alto, va detto anche che un tale strumento di tutela viene spesso abusato per denunce “strumentali” rispetto a paralleli procedimenti di separazione non definiti.

Tutto ciò, con conseguenze estremamente dannose sia per i padri denunciati che per i figli, vittime indirette di tali fenomeni.

Cosa si intende per maltrattamenti in famiglia?

Il concetto di “maltrattamenti” cui fa riferimento l’art. 572 c.p. ricomprende ogni tipo di azione violenta (anche quella non fisica, ma verbale) o non violenta che comprime o impedisce lo sviluppo della personalità umana della vittima, purché tali comportamenti si ripetano in maniera sistematica e abituale.

In altre parole, non vi rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima; vi sono ricompresi anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali.

Ovviamente, non sono bastevoli per una sentenza di condanna singole ingiurie o minacce, non infrequenti nelle coppie più litigiose, anche se sfocianti in occasionali lesioni (lievi e/o accidentali).

Soggezione psicologica

A rilevare è esclusivamente quella situazione di continua soggezione psicologica in cui incorra la parte offesa, anche se intervallata da momenti più distesi e di normale vita di coppia.

Per fare degli esempi semplici di maltrattamenti in famiglia consistenti in condotte non violente, si pensi al caso del padre che sistematicamente lascia il figlio senza cena perché non gli va di cucinare o di fare spesa.

Si pensi, ancora, all’insegnante che, sistematicamente, durante le sue ore di lezione, non dà il permesso agli alunni di andare al bagno, costringendoli a trattenere i propri bisogni con conseguenze, a volte, gravi e imbarazzanti.

Casi recenti di maltrattamenti in famiglia del marito in danno della moglie

Si comprende agevolmente che la casistica delle condotte che integrano i maltrattamenti è molto ampia.

E’ stato condannato un uomo che ripetutamente rivolgeva parole di offesa e insulto alla compagna, ostentando frequenti rapporti sessuali da lui avuti con altre donne (Cass. Pen., Sez., VI, 29 settembre 2022, n. 41568).

E’ pure il caso, ad esempio,  del marito che impedisce alla moglie impedendole di andare a fare la spesa, di andare dal parrucchiere o di andare a cena con le amiche.

Ancora, compie maltrattamenti anche il marito che sistematicamente disprezzi la moglie per il modo di gestire la figlia piccola e per il fatto che questa, dopo la gravidanza, volesse subito riprendere a lavorare lasciando la figlia con la tata.

Tutti quei casi in cui un uomo isoli la moglie dai contesti sociali o lavorativi sono da considerarsi maltrattamenti.

 

Anche le condotte omissive possono configurare i maltrattamenti in famiglia?

Ebbene sì, anche un semplice non fare può ledere la dignità o lo sviluppo fisico e morale di una persona.

A titolo esemplificativo, si pensi alla madre che omette di allattare il figlio neonato oppure all’infermiera della casa di riposo che non ottemperi ai suoi obblighi di assistenza, cura e nutrizione degli anziani, non somministrando i farmaci che sono stati loro prescritti.

Peraltro, proprio la Cassazione ha stabilito, con riguardo al rapporto tra un minore e il responsabile della sua educazione e assistenza quanto segue:

il reato di maltrattamenti in famiglia può rimanere realizzato in linea di principio anche in condotte omissive individuabili pure nel deliberato astenersi, da parte del responsabile della educazione e della assistenza al minore, dall’impedire gli effetti illegittimi di una propria condotta diretta verso altri soggetti” (Cass. Pen., n. 41142/2010).

Quali sono i soggetti che possono commettere il reato?

Per quanto riguarda i soggetti attivi e passivi del reato bisogna distinguere il caso in cui la norma chieda un rapporto qualificato da quelli in cui si riferisce a rapporti derivanti da una semplice convivenza.

Nel secondo caso la norma assoggetta alla pena prevista chiunque ponga in essere i maltrattamenti nei confronti di un familiare o di un convivente.

L’ambito di applicazione qui è molto vasto e non richiede un rapporto qualificato tra l’agente e la vittima se non il solo requisito della condivisione di spazi comuni.

L’autore del reato può essere pertanto qualsiasi persona a prescindere dalla tipologia di vincolo personale in essere con la vittima.

Tale questione è più complessa per quanto riguarda i casi in cui la norma richiede un rapporto qualificato. Si tratta dei seguenti tre rapporti:

  • familiari;
  • in caso di esercizio di autorità, come, ad esempio, quello che in un rapporto lavorativo esercita il datore di lavoro sul lavoratore;
  • di affidamento per ragioni di istruzione, cura, educazione, vigilanza o custodia. Si pensi, ad esempio, al rapporto scolastico tra l’insegnante e l’alunno, o a quello tra l’istruttore di nuoto e il corsista, o, ancora, a quello tra il medico e il paziente.

Chi sono i “familiari”?

Per quanto riguarda il concetto di “familiari” e di famiglia si richiama una sentenza della Cassazione (Cass. Pen., sez. VI, 15 giugno 2022, n. 35633) secondo cui i concetti di famiglia e di convivenza vanno intesi nell’accezione più ristretta:

si tratta, pertanto, di una “comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua” .

Chi sono i “conviventi?

Quanto al concetto di “convivenza”, bisogna fare attenzione a non confonderlo con quello di mera coabitazione, che non rileva ai fini dei maltrattamenti.

Come recentemente stabilito dalla Cassazione, infatti, il termine “convivente” va inteso in senso restrittivo come persona con cui si ha una relazione affettiva stabile, caratterizzata da un progetto di vita comune o, quantomeno, da una programmazione comune della quotidianità.

Al contrario, la coabitazione è caratterizzata dalla mera occasionalità e dalla mancanza di stabilità, per cui non connota una relazione rilevante ai fini dei maltrattamenti (Cass. Pen., sez. VI, 11 ottobre 2022, n. 38336).

I comportamenti iper-protettivi di un genitore nei confronti del figlio possono costituire maltrattamenti?

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso che vedeva protagonista un padre accusato dalla ex moglie di maltrattamenti verso il figlio per il fatto che questi aveva istaurato una sorta di simbiosi con il minore, consistente nei seguenti comportamenti:

ostacolava il rapporto del figlio con madre, nonni e insegnanti;

denigrava la madre dinanzi al figlio;

ostacolava le visite disposte dal Tribunale in favore della madre;

chiedeva al minore continue informazioni sulle attività della madre;

sottoponeva il minore a continue visite mediche in risposta a quelle già effettuate dalla madre;

riteneva il figlio affetto da ritardo;

registrava chiamate e conversazioni del minore;

assecondava racconti inverosimili da cui emergevano violenze da parte della madre e delle maestre.

Ebbene, nonostante le condotte contestate all’uomo siano numerose, la Suprema Corte non ha ritenuto integrato il reato di maltrattamenti previsto e punito dall’art. 572 c.p., in quanto esso scatta nel momento in cui i comportamenti del genitore infliggano sofferenze e vessazioni tali da influire, per esempio, sullo sviluppo psico-fisico della vittima.

In altre parole, perché possano sussistere i maltrattamenti è necessario che le condotte del padre iper-protettivo ledano in concreto la dignità e la vita socio-relazionale del figlio, a prescindere poi dal fatto che il minore percepisca o meno tali comportamenti come un maltrattamento o vi consenta (Cass. Pen., Sez. VI, 15 settembre 2022, n. 34280).

In quali casi la simbiosi padre-figlio potrebbe configurare il reato?

Per intenderci, potrebbero essere considerati maltrattamenti per iper-protezione quelli posti in essere dal padre che non consente mai al figlio di uscire oltre l’orario scolastico, neppure per praticare l’attività sportiva prescritta dagli insegnanti, in tal modo precludendogli la possibilità di giocare con gli amici o crearsi le prime relazioni sentimentali.

Il tutto per paura che il ragazzo possa togliere tempo allo studio o all’attività commerciale di famiglia, nella quale presta servizio.

I comportamenti provocatori del figlio possono legittimare o, comunque, rendere meno gravi le violenze da parte del genitore?

La Corte di Cassazione ha recentemente dato risposta negativa al quesito, ritenendo che le provocazioni e la maleducazione dei figli non legittimano comunque un uso indiscriminato della violenza da parte dei genitori.

In tal caso, infatti, si configurerà il reato di maltrattamenti e non il meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall’art. 571 c.p. (Cass. Pen., Sez. VI, 23 agosto 2022, n. 31534).

Di fronte a una situazione patologica di sistematico ricorso alla violenza fisica e morale, anche se spinto da un intento educativo del minore affidato (c.d. animus corrigendi), deve escludersi il meno grave delitto di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, configurandosi piuttosto il più grave delitto di maltrattamenti.

Infatti, l’elemento differenziale tra i due reati non può individuarsi solo nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall’agente, ma anche nella reiterazione nel tempo delle condotte stesse, dato che il reato previsto dall’art. 571 c.p., a differenza dei maltrattamenti, non è abituale.

Quando sussiste l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina?

L’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina consiste nell’uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi o educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore, nonché dalla scienza pedagogica.

Si pensi, ad esempio, l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate, ecc.

Peraltro, qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se realizzata a scopo educativo.

Ancora, si tenga sempre presente che in ogni caso in cui il soggetto passivo sia un figlio maggiorenne, non potrà mai ritenersi configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione, poiché questi, seppur convivente con i genitori, non è più assoggettato alla responsabilità genitoriale (Cass. Pen., n. 444/2011).

L’insegnante che offende ripetutamente gli alunni risponde di abuso dei mezzi di disciplina o di maltrattamenti?

Per un caso al limite tra il reato di maltrattamenti e il meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione, è stato affrontato dal Tribunale di Benevento.

Un’insegnante che picchiava reiteratamente gli alunni con calci, schiaffi sulle mani, pugni, colpendoli con quaderni e libri in testa e offendendoli ogni giorno apostrofandoli con epiteti quali “cretini, asini, stupidi, ritardati mentali”, in tal modo offendendo la loro dignità e pregiudicando il loro sano sviluppo psico-fisico.

Ebbene, il Tribunale di Benevento ha condannato l’imputata per maltrattamenti (Trib. Benevento, Sez. uff. indagini preliminari, 29 maggio 2018, n. 137).

La sola testimonianza della persona offesa può bastare a fondare una sentenza di condanna per maltrattamenti?

Posto che gli episodi di maltrattamento avvengono quasi sempre all’interno delle mura domestiche e lontano da occhi di amici o parenti, la prova del reato, per forza di cose, deve essere spesso desunta dalla mera contrapposizione tra la parola della vittima e quella dell’accusato.

Ciò, soprattutto, quando non vi siano mai stati interventi delle Forze dell’ordine e manchino referti medici che attestano precedenti lesioni.

Ebbene, la Corte di Cassazione ritiene in maniera ormai consolidata che la deposizione della persona offesa, se giudicata attendibile, ha una particolare valenza probatoria e può, essa soltanto, anche in mancanza di ulteriori riscontri, essere ritenuta dal giudice sufficiente per condannare l’accusato.

Va da sé, ovviamente, che eventuali testimonianze rese dai vicini di casa, messaggi intercorsi tra gli interessati, referti ospedalieri e denunce collezionate nel tempo non potranno che consolidare ulteriormente quanto riferito dalla persona offesa e, di per sé, già sufficiente.

Cosa accade se la vittima ritratta le accuse? È possibile che l’accusato venga ugualmente condannato per maltrattamenti?

Ebbene, la Cassazione ha recentemente confermato che il procedimento penale può proseguire e giungere a sentenza di condanna anche se la denunciante ritratta le accuse, negando tutto quanto affermato a carico dell’accusato.

Ciò, tuttavia, può accadere solo nel caso in cui il Giudice ritenga che la ritrattazione non sia frutto di una libera e consapevole scelta della vittima, ma di un’intimidazione.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui in aula, durante la deposizione della moglie maltrattata, il marito le lanci continue occhiate minacciose e rabbiose – o di un condizionamento socio-culturale (Cass. Pen., n. 31373/2022).

La tutela rafforzata che il nostro ordinamento garantisce alle vittime di maltrattamenti è ovviamente basata sul fatto che, come spesso accade, le donne che subiscono soprusi in casa omettono di denunciare i mariti violenti per paura delle loro reazioni oppure, come nelle ipotesi citate, ritirano le accuse per paura di ritorsioni.

Come difendersi da una falsa accusa di maltrattamenti?

Sempre più spesso si assiste nelle aule di giustizia di tutta Italia a denunce per maltrattamenti utilizzate in maniera strumentale rispetto a paralleli procedimenti di separazioni non ancora definiti.

Ciò comporta conseguenze catastrofiche per gli interessati, ma soprattutto per i figli coinvolti, costretti a vivere il dramma di un processo penale in cui, il più delle volte, sono anche chiamati a testimoniare contro un padre o una madre.

L’unica strada per difendere un padre ingiustamente accusato è quella di agire in anticipo, ricorrendo immediatamente a un Avvocato esperto in materia, che abbia mezzi e competenze per svolgere sin da subito investigazioni difensive finalizzate ad acquisire dichiarazioni di parenti o amici, documentazione di vario tipo, messaggi e ogni altro elemento che possa servire a riabilitare la figura dell’accusato.

Attenzione a non sottovalutare mai la portata di una denuncia nei propri riguardi né, tantomeno, ritenendosi innocente, credere che ciò sia sufficiente, perché una difesa efficace deve prendere le mosse sin dalle indagini preliminari, mirando, se possibile, ad ottenere un’archiviazione già in tale sede.

La tutela dei minori che assistono ai maltrattamenti

Il Codice Rosso (Legge 19 luglio 2019, n. 69) è intervenuto in maniera molto consistente in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

L’ultimo comma aggiunto all’art. 572  mira proprio a tutelare i minori che assistono alle violenze sia verbali che fisiche ed afferma:

il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato”.

Da tale novità normativa deriva che anche il minore che non subisca direttamente le offese o i soprusi può ritenersi vittima “indiretta” del reato.

Come tale, può costituirsi parte civile in giudizio e accedere all’eventuale risarcimento del danno. Si tratta della c.d. violenza assistita.

Infatti, è integrato il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli anche se la condotta violenta sia stata tenuta solo nei confronti della madre.

Lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve essere necessariamente collegato a specifici comportamenti vessatori posti in essere verso un determinato soggetto.

Di contro ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all’interno di una comunità, conseguenza diretta di atti di sopraffazione, vessazione ed umiliazione.

Richiesta di risarcimento da parte della vittima e quantificazione del danno

Nell’ambito del procedimento penale volto ad accertare la penale responsabilità dell’accusato, è possibile richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa di maltrattamenti in famiglia con la costituzione di parte civile.

Lo studio assiste i propri clienti anche in questa delicata fase e in quelle successive.

Prescrizione del reato di maltrattamenti

Alla luce di quanto previsto dall’art. 157 c.p. che prevede il raddoppiamento dei termini di prescrizione, il reato in esame si prescrive nel termine di 14 anni, più ¼ in caso di eventuali atti interruttivi del procedimento.

In caso di reato aggravato dall’evento (lesioni o morte), il termine prescrizionale coincide con la pena massima prevista di volta in volta dal codice raddoppiata: 18 anni in caso di lesioni gravi; 30 anni in caso di lesioni gravissime; 48 anni in caso di morte.

Indicazioni sulla procedura

Il reato di maltrattamenti in famiglia è procedibile d’ufficio: questo significa che chiunque ne sia a conoscenza può denunciare l’accaduto recandosi in Questura, presso la stazione dei Carabinieri o presso gli uffici della Procura.

La competenza spetta al Tribunale in composizione monocratica nell’ipotesi “base” prevista dal primo comma.

Nel caso di reato aggravato in danno di minore, donna in gravidanza o disabile ovvero in caso di lesioni cagionate alla vittima l’Autorità procedente è il Tribunale in composizione collegiale.

In caso di morte, infine, è competente la Corte di Assise.

L’arresto è obbligatorio in flagranza di reato e il fermo di indiziato è consentito.

Le misure cautelari sono consentite, così come sono consentite le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

Art. 572 del codice penale: maltrattamenti contro familiari e conviventi

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.

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    Domande Frequenti

    FAQ

    Cos'è il reato di maltrattamenti in famiglia?

    Il reato di maltrattamenti in famiglia è una forma di violenza domestica che consiste nell’abusare fisicamente o psicologicamente di un membro della propria famiglia, compreso il coniuge o il convivente.

    Quali sono gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti in famiglia?

    Per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia è necessario che vi sia una condotta violenta o minacciosa da parte dell’aggressore e una vittima che subisce tale violenza. Inoltre, la condotta dell’aggressore deve essere reiterata nel tempo e il rapporto tra l’aggressore e la vittima deve essere di tipo familiare.

    Cosa si intende per violenza domestica?

    La violenza domestica è una forma di violenza che avviene all’interno del contesto familiare e che può essere fisica, psicologica, sessuale o economica. Può essere perpetrata da un coniuge, da un convivente o da un membro della famiglia.

    Chi può essere considerato vittima di maltrattamenti in famiglia?

    Può essere considerata vittima di maltrattamenti in famiglia qualsiasi persona che subisce violenza da parte di un membro della propria famiglia. Ciò include il coniuge o il convivente, ma anche figli, genitori, fratelli e sorelle.

    Quali sono le conseguenze per chi commette il reato di maltrattamenti in famiglia?

    Chi commette il reato di maltrattamenti in famiglia può essere condannato a una pena detentiva o a una pena pecuniaria. Inoltre, può essere emesso un divieto di avvicinamento alla vittima o alla sua famiglia e può essere disposta la revoca di armi o di licenze.

    Come può una persona denunciare i maltrattamenti in famiglia?

    Una persona può denunciare i maltrattamenti in famiglia rivolgendosi alle forze dell’ordine, agli organi di polizia, ai servizi sociali o alle associazioni che si occupano di assistere le vittime di violenza domestica.

    Cosa succede dopo che è stata presentata una denuncia per maltrattamenti in famiglia?

    Dopo che è stata presentata una denuncia per maltrattamenti in famiglia, le forze dell’ordine o gli organi di polizia indagano sulla vicenda e, se ci sono gli estremi, l’autore dei maltrattamenti può essere denunciato all’autorità giudiziaria. Inoltre, il giudice può disporre misure urgenti per tutelare la vittima, come ad esempio il divieto di avvicinamento o l’allontanamento dalla casa familiare.

    Esiste un numero di emergenza per le vittime di violenza domestica?

    Sì, in Italia esiste il numero 1522, che è il numero di emergenza per le vittime di violenza domestica. Chi chiama il numero 1522 può ricevere informazioni e supporto psicologico, oltre che essere indirizzato verso i servizi di assistenza e protezione più adeguati.

    Quali sono i segnali che possono far sospettare l'esistenza di maltrattamenti in famiglia?

    I segnali che possono far sospettare l’esistenza di maltrattamenti in famiglia sono: l’evidenza di ferite o segni di violenza sul corpo della vittima, il comportamento timoroso o riservato della vittima, il rifiuto della vittima di parlare di ciò che le accade in casa, il tentativo della vittima di nascondere i segni di violenza, l’assenza di autonomia decisionale della vittima.

    Cosa si può fare per aiutare una vittima di maltrattamenti in famiglia?

    Per aiutare una vittima di maltrattamenti in famiglia è importante: ascoltare e credere alle sue parole, offrire supporto e comprensione, fornirle informazioni sui suoi diritti e sui servizi di assistenza disponibili, incoraggiarla a denunciare la violenza e a cercare protezione e aiuto, offrire sostegno emotivo e psicologico.

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